L’etno-band salentino-cremonese reduce da un tour negli Stati Uniti
di Luca Muchetti
CREMONA- Hanno riscosso grande interesse e sincero entusiasmo i concerti-lezione che i Khaossia hanno tenuto la scorsa settimana negli Stati Uniti. La band di Luca Congedo, Fabio Turchetti, Stefano Torre con la voce narrante di Giorgio Galanti si è esibita alle Saint Joseph’s University di Philadelphia e in alcune high school di New York e del New jersey. La seconda volta dell’etno-band salentina in America si deve all’invito del Consolato Generale d’Italia, che già lo scorso anno aveva voluto la band in terra americana per alcuni concerti-conferenza. La nuova occasione è stata offerta dalla presentazione diLa Grechesche, album col quale la formazione torna ai tempi della Repubblica di Venezia nel XVI secolo, recuperando alcune composizioni pubblicate nel 1571 da Andrea Gabrieli. Del tour del gruppo si è occupata i-Italy, webzine notissima nella comunità italo-americana, con un ampio articolo e un’intervista a Luca Congedo. Lo spettacolo ha colto nel segno, tanto che durante lo show i ragazzi che assistevano all’esibizione hanno spontaneamente accompagnato le musiche tenendo il tempo con le mani e in qualche caso ballando scatenati. «Anche meglio dell’ultima volta – ci racconta Luca, appena tornato dagli States -. E’ stato un tour maturo: abbiamo raccolto riscontri positivi sia nei locali, come il Drom, tempio della world music newyorkese (dalla registrazione della serata verrà pubblicato un Live in NYC, prossimo album della band, ndr) o il Crossroad, una vecchia chiesa metodista, sia in situazioni più istituzionali come la St. Joseph’sUniversity. Qui a fine concerto una ventina di ragazzi americani ci ha chiesto di organizzare dei corsi di ballo di pizzica, mentre nei locali un pubblico di appassionati che si spostava dal Jersey a New York ci ha seguito con grandissima partecipazione». E ora? «C’è in programma un ritorno: ci vorrebbero il 2 giugno, perla Festadella Repubblica. E’ molto probabile un nuovo tour in ottobre, in nuove città. Le più papabili sono Washington, Boston e Chicago. Insomma questo ponte con l’America è sempre meno un’esperienza estemporanea. Noi, come è ovvio, non possiamo che esserne felicissimi».