Giunto in redazione con un inspiegabile ritardo (sei mesi di viaggio per percorrere 100 km, fa fede il timbro postale!), il disco della cremonese Simona Maffini merita una particolare attenzione perché parte da un assunto concretizzato con coerenza: offrire ai canti popolari della “bassa” lombarda un’interpretazione nuova, quasi cantautorale. Un percorso stilistico non originalissimo (ricordiamo in proposito i due Cd di Fabrizio Poggi & Turututela “Canzoni popolari” e “La storia si canta” rispettivamente del 2002 e del 2006) ma ancora capace di funzionare in termini di presa sull’ascoltatore. Particolarmente esemplare, da questo punto di vista, la versione che Simona Maffini dà della bistrattata “L’Uva Fogarina”. Anche il titolo scelto per questo lavoro ha un preciso significato sul quale soffermarsi: l’edilizia rurale cremonese è strutturata in corti chiuse, quadrilateri civili ricalcati sulla forma dei castelli militari; il concetto di corte aperta è quindi un luogo semantico, coniato a significare l’apertura ai contributi di musicisti, canzoni e tematiche appartenenti ad altri mondi e culture: poesie musicate da Fabio Turchetti (leader della formazione dei Capricci Cremonesi che accompagnano la cantante nella registrazione del disco), traduzioni di testi medievali appartenenti alla cultura araba e a quella galiziana delle Cantigas.
Un “piccolo” disco dai contenuti preziosi, coraggiosamente esposto ai rischi della faciloneria critica che tenderà –necessariamente- a ignorarlo, ma del quale siamo orgogliosi di poter scrivere, anche se non proprio puntualmente. Documento di cultura cremonese e al contempo messaggio di sicura speranza verso l’integrazione e il cambiamento. Da ascoltare e interiorizzare.Enrico Lucchesi – Folkbulletin