1
Il vecchio Nazareno Anconetani quando sente che sono italiano è tutto contento. Ha più di 90 anni. Mi parla in un misto di italiano e spagnolo di suo padre che faceva il rappresentante per la ditta Soprani e poi ha fondato la prima fabbrica di fisarmoniche del Sud America.
Mi mostra orgogliosamente il loro museo. Nel negozio campeggia una foto di Chango Spasiuk.
2
Al Centro di ricerche etnomusicali il mio amico Rubèn studia gli strumenti autoctoni degli indios. Un bel lavoro.
Il Centro è ubicato dove una volta c’era la vecchia biblioteca nazionale, in calle Mexico nel quartiere di San Telmo, dove Borges ha lavorato tanti anni come direttore.
Mi aggiro annusando l’aria in cerca di qualche traccia sua, per un po’ di ispirazione.
3
Le nove di sera in un centro culturale sull’Avenida Corrientes.
Rafael, il regista, presenta il suo prossimo film. La sala è piena. “Qui – dice – quando si monta un pièce teatrale si replica per tre anni di fila… i nostri colleghi europei quando fanno dieci repliche sono già contenti…”
Un po’ come nella musica, penso io…
4
Rodolfo, il mio maestro per qualche settimana, mi piace subito. “Cosa posso fare per te?” mi domanda.
Lavoriamo sulla mano sinistra. Il suo gusto per l’armonizzazione mi apre una nuova finestra sul mondo. “Per suonare in un certo modo – mi dice – devi avere una fidanzata argentina e vivere a Buenos Aires!”
5
Il direttore del Collegium Musicum invece è poco cordiale. “Il punto – mi dice – è che gli europei vengono qui a prendere qualche lezione di bandoneòn e poi tornano a casa vantandosi di aver studiato da noi… allora è giusto che paghino!”
Mentre gli faccio sentire quel che so fare reclina il capo indietro a sinistra.
6
“Hogar de paz” c’è scritto fuori. L’edificio sorge a pochi passi dal rio Paranà. Lontano si vede il grande ponte che lo attraversa.
Siamo a Zarate, 70 km a nord di Buenos Aires. Per arrivarci dalla stazione di Once si prendono gli autobus Chevallier.
La suora che mi riceve è gentile ma freddina. “Così hai fatto il volontario a Calcutta… dove esattamente?” Gli snocciolo faticosamente dei nomi ripescandoli dalla memoria. “E cosa vorresti fare qui?” “…boh… suonare la chitarra?”
7
Al telefono Betina mi dice: “ci vediamo alla stazione di Moreno alle 8 di domani mattina. Se non puoi essere lì a quell’ora vieni per conto tuo più tardi, prendendo il 561” “No, no – dico – aspettami che arrivo!”
In effetti è lei che mi riconosce intanto che mi aggiro per il bar della stazione. Sono le 8.10, piove e fa freddo. L’autobus 561 ci scarica dopo una mezz’oretta al Cuartel V.
8
Betina mi porta a vedere un paio di centri. La seguo e assisto alle riunioni.
Le donne del comedor sono veramente in gamba, fanno da mangiare per 2-300 persone ogni giorno, in maggioranza bambini. Sono affabili, fanno un gran casino e mi fan sentire subito a mio agio.
Mi raccontano dei ragazzi che vanno lì a far volontariato e dell’Arca, una ong spagnola che gestisce e coordina gli aiuti.
9
Suono e la signora Weccker mi fa entrare dopo aver aperto tre grossi catenacci e lucchettoni.
Siamo quasi al confine con la Villa 31, meglio non fidarsi.
Il negozio è pieno di vecchi bandoneòn in vendita, sembra un museo. Che belli, peccato che accetti solo i contanti.