“Questo materiale, registrato a casa di Luca in un paio di giorni in un non precisato mese del 1985, è rimasto nel cassetto 20 anni e forse avrebbe dovuto rimanerci”.
Così inizia lo scarno booklet del disco. Le poche parole di Fabio Turchetti sono sintomatiche, quasi a lasciare spazio alle emozioni che la musica suonata da Luca Flores riesce a trasmettere. Ventidue brevi brani che si succedono in morbida sapidità. Per ognuno di questi una storia. Breve come il suono ma non come le vibrazioni che possono trasmettere.
Parlare di Luca Flores sarebbe facile, quasi pleonastico. Ascoltarlo è molto meglio. Di parole, anche non vere, di immagini, anche troppo romanzate, ne sono piovute. Tante e, spesso, oziose.
E’ un lavoro a tiratura limitata, come dice Turchetti nelle sue note, “perché se anche una sola altra persona prova qualche emozione nell’ascoltarlo io sono contento”. E di emozioni se ne provano tante e diverse, perché Luca Flores ogni nota la suonava con amore, come se fosse l’ultima. Ciò anche in composizioni più “easy” come quelle che si liberano dall’ascolto di questa lavoro-raccolta.
Canzoni che passano attraverso l’eleganza di Flores con il suo tocco incantatorio.
Una particolare menzione, una forte emozione per il giusto equilibrio di timbri, merita Moonin, brano che chiude il gioco di due amici.
E’ un disegno, scarno, essenziale e liberatorio.
Un grazie a Fabio Turchetti per aver voluto condividere una parte – immaginiamo molto importante – della sua vita.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia